Luci di Maria - Gennaio | Febbraio 2018 - page 10

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e, nonostante egli abbia ripetuto più
volte i contenuti, i risultati non sono
stati ottenuti. Il re afferma con forza
che suo figlio non è degno di succe-
dergli al trono e lo caccerà insieme
al maestro, paragonandoli alla figura
leggendaria di
Mida
che riuscì a na-
scondere a tutti le sue orecchie d’asi-
no, tranne che al barbiere.
Il re smaschera senza pietà il mae-
stro. Bertoldino interviene per chie-
dere pietà ricordando al padre le sue
disabilità fisiche. Questi non retroce-
de dal giudizio e allontana entrambi
dal suo Regno, per far comprendere
a tutti che preferisce affidare il gover-
no ad uno straniero, che salvaguardi
“il comun bene e la felicità”, piutto-
sto che al figlio ignorante.
Il poemetto sorprende per la notevo-
le sensibilità e spirito di osservazio-
ne del giovane autore che, denuncia
l’incompetenza, la presunzione e la
vanagloria del precettore, esalta l’au-
sterità e la severità del padre e descri-
ve se stesso, ossequioso e rispettoso
verso i comandi regali, ma infastidito
dalla cultura nozionistica ed esteriore
del precettore, che lo annoia e lo ren-
de pigro. Da adulto il Marcucci ricor-
derà il precettore, “dal colore un po’
verdigno, dalle labbra arricciate, con
una benedetta sferza tra le mani”
1
,
sempre pronto a colpire con la ver-
ga le birichinate dell’allievo il quale
però, con una veloce fuga, riusciva ad
evitare puntualmente ogni punizio-
ne. All’educanda Giustinuccia di 10
anni, dopo averla incoraggiata a “se-
guitar lo studio”, le condivide il suo
1 M
arcucci
,
Le primogeniture difese col suo
Paregora
, Teramo 1766, II, cap. VI, par. 34.
impegno di quattordicenne “quando
io studiavo la logica. E’ vero, che non
ne capivo niente affatto: ma pure in-
cominciavo a passare per filosofetto,
che facevo ridere; perché mi facevo
largo con li spropositi”
2
.
L’acuta riflessione del Marcucci in
questa prima operetta fa pensare che
sia stata scritta nei mesi successivi al
carnevale del 1735, quando decide
di orientare interamente la sua vita
a Dio e di cambiare l’oggetto degli
studi, consapevole di “non aver im-
piegato nello studio quel singolare
talento, che Iddio gli aveva donato e
bramoso di risarcire al tempo perdu-
to e malamente speso, si risolvette,
benché tardi, di rifarsi da capo allo
studio, incominciando da sé a studia-
re la grammatica latina, e così poi da
mano gustando le altre arti e scienze:
potendosi dire con verità, che non vi
è stata arte e scienza letteraria, che
egli non abbia poi gustata”
3
.
Il poemetto è stato rappresentato più
volte dagli alunni della nostra scuola
di san Benedetto del Tronto a cura
di Suor M Concettina Sessa e, l’an-
no scorso, dagli alunni della Scuola
Statale, secondaria di I grado di Mon-
teprandone, a cura del prof. Walter
Gandolfi.
2 F. A. M
arcucci
,
lettere alle suore e alle
educande
(a cura si suor M. Paola Giob-
bi), Roma, 2011, n. 369.
3 F. A.
Marcucci
,
Direttorio generale del-
le Costituzioni per la Congregazione delle
religiose dell’Immacolata Concezione di
Maria sempre vergine della città di Ascoli,
1763, ASC 117, articolo 5.
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